Informazione e media: dove stiamo andando

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In questi tempi “bui” mi sono chiesto spesso quale fosse in ruolo di noi editori nella diffusione di informazioni al grande pubblico.

La pandemia prima e la guerra poi ci impongono una riflessione molto attenta rispetto a cosa diciamo, quando lo diciamo e, soprattutto, come lo diciamo.

Ho sempre pensato infatti che la forma fosse importante tanto quanto il contenuto. E lo dico ben consapevole che un’affermazione del genere potrebbe essere travisata, dal momento che – da che mondo è mondo – la verità di una notizia dovrebbe avere un’importanza superiore a qualsiasi forma attraverso la quale viene data.
Ma nella realtà non credo sia così. Trovare il giusto linguaggio, il giusto tempismo, le parole più chiare e, perché no, il canale più giusto, sono tutti elementi che fanno la differenza tra una notizia che arriva in modo corretto e completo al lettore e una notizia che invece si “brucia”, viene bypassata o, peggio ancora, mal interpretata.

Questo era vero ieri, quando i media avevano una gittata limitata, la globalizzazione era solo un’idea, l’alfabetismo era appannaggio di pochi. Figuriamoci oggi, che con il web riusciamo a raggiungere chiunque con qualunque concetto, notizia, informazione.

Avere un giornale o un media in generale è quindi una responsabilità, nella misura in cui dal nostro lavoro dipendono spesso le idee o le coscienze di chi ci legge/guarda.

Quando ho avuto la possibilità di intervenire all’evento di presentazione di BusinessPlus mi è venuto spontaneo fare un parallelismo proprio su questo tema, soprattutto su quella che è l’informazione oggi e quello che invece dovrebbe essere.

Riprendo da lì, per esplodere un po’ il concetto.

Il tema è che le informazioni di per sé hanno un grandissimo difetto: non sono interessanti. 

La cronaca, per sua natura, non è qualcosa che muove le coscienze o genera curiosità. Non tecnicamente almeno, ad eccezione – è chiaro – di fatti inediti che colpiscono per la loro stessa esistenza.

Questo è sempre stato un problema per un media che ha il compito di dare, all’interno del suo canale, una quantità di notizie tra le quali forse solo una o due avranno nel dna un appeal sufficiente da incuriosire l’interlocutore.

Ma le restanti? Come fare a generare interesse nelle otto, dieci, quindici notizie di cronaca, società, costume, arte che non godono di sufficiente fascino?

In modo del tutto naturale, e il giornalismo testimonia questo graduale processo, i media hanno intrapreso un percorso rischioso per far fronte a questo problema. Nel tempo il ruolo del “diffusore” dell’informazione è diventato sempre più determinante nella diffusione della notizia. Quest’ultima è diventata “una parte” del contenuto, insieme all’opinione, alla critica, al giudizio. È quello che di base potrebbe essere ritenuto “il taglio” della notizia, quella caratterizzazione specifica che la rende chiara e interpretabile, ma anche guidata da una lettura palese o sottintesa da parte di chi la promuove.

Il pericolo si annida nel momento in cui però quell’opinione, quel giudizio, diventano predominanti. Ad essere minata in questo caso è la veridicità stessa della notizia, piegata alle esigenze editoriali del media che la diffonde. La verità, in questo scenario, diventa meno importante. Diventa superflua. Sparisce, o per meglio dire, si mescola con gli altri componenti e diventa altro.

Si parla spesso di “giornalismo prezzolato” come se quello fosse un mondo trasversalmente contaminato da interessi costanti. Non la vedo esattamente così. Il giornalismo non è corrotto. Almeno non per sua natura e certamente non nella maggior parte. Il giornalismo è tutt’al più vittima della necessità, oggi, di rendersi interessante per emergere in questa pluralità di offerte. Questa necessità spesso si traduce in una non corretta declinazione del ruolo e quindi in notizie la cui veridicità è appannata dalle logiche di mercato.

L’esperimento sociologico di “Reputazione a rischio” lo conferma: la manipolazione della realtà non è soltanto fattibile, ma anche estremamente facile da assimilare da parte della società. Senza grandi sforzi.

Questo rende tutto più complicato perché in uno scenario come questo alle persone arrivano messaggi contrastanti dei quali le persone stesse diffidano.

Immaginate quanto sia grande questo problema quando parliamo di comunicazioni di impresa, per esempio.

Edito un giornale per la tutela dei consumatori, non potete immaginare quanto i nostri lettori siano diffidenti rispetto a qualsiasi notizia legata alle attività di un’azienda alimentare o non alimentare. C’è un fondo di insicurezza giustificato dalla scarsità di mezzi di informazione che garantiscano l’accuratezza delle notizie diffuse. 

In questo scenario trovo che BusinessPlus abbia scelto una strada sfidante ma anche ambiziosa: rimettere al centro la notizia, specificatamente nell’ambito Business, e la sua attendibilità senza però rinunciare a una forma di intrattenimento che renda più fruibile, chiaro e piacevole il messaggio.

Una piattaforma che, come recita il payoff, promuove un concetto di intrattenimento business che consenta a chi guarda, siano esse imprese o consumatori, di farsi un’idea chiara del lavoro di un’azienda e di tutto ciò che vi ruota intorno, inquadrato dalla realtà di una telecamera ma reso piacevole da un format accattivante che lo incornicia.

Trovo si tratti di un’idea vincente e moderna, che va incontro alle esigenze di tutto il comparto e di chi, di quel comparto, è parte attiva come cliente.

Sono certo che con i giusti presupposti BusinessPlus sia destinata a un futuro roseo e sempre più ampio. Un circolo virtuoso che renda solida (e non più “a rischio”) la reputazione delle aziende che vi parteciperanno.

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