Ivan Zazzaroni • La reputazione non significa popolarità

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Incontriamo Ivan Zazzaroni, apprezzato giornalista sportivo e conduttore tv, nell’ufficio romano del quotidiano Corriere dello Sport-Stadio.

Ivan, nel corso della tua carriera ti sei impegnato in molte attività mediatiche: hai diretto i settimanali Guerin Sportivo e Autosprint, sei stato editorialista del quotidiano Libero, conduci Football Club su Radio Deejay e sei apparso in Rai in tante trasmissioni sportive, da Quelli che… a La Domenica Sportiva e Dribbling, senza contare la tua partecipazione allo show Ballando con le Stelle che ti ha fatto conoscere al grande pubblico. In base alla tua esperienza, come è cambiata negli anni la credibilità dei media, e la percezione della loro autorevolezza?

La crisi di credibilità dei media ha più origini e non autorizza generalizzazioni: il web produce “appiattimento”. Oggi tutti sono “media”, ogni individuo comunica, informa, disinforma, e la generalizzazione produce un livellamento costante verso il basso. Chi aveva credibilità si ritrova attaccato su ogni fronte e deve affrontare processi quotidiani. Il vero problema è che le critiche arrivano quasi sempre da gente che non ha competenze reali per giudicare, e magari si basa solo sulla fede da tifoso. Tuttavia per avere il polso della reputazione è importante il giudizio della “strada”, perché ti dà il feedback più convincente. Ed è molto raro che ci sia sintonia tra il giudizio del web e quello della strada. Però posso anche affermare che i media non hanno perso completamente credito. Con il proliferare delle fake news i giornali mantengono comunque una decisa autorevolezza. È il lettore che deve saper scegliere i propri riferimenti.

Tu lavori sia online che offline. Quali sono le principali differenze di approccio?

Parliamo di due linguaggi totalmente diversi. I nostri articoli online devono catturare immediatamente l’attenzione del lettore. La titolazione dunque diventa fondamentale, anche più importante che nella versione stampata. L’offline invece è approfondimento, analisi, opinione. Gli articoli di riflessione online non funzionano. Magari qualcuno li legge, ma in realtà raggiungono poche persone. In più il tipo di scrittura nei due casi è totalmente diverso, e bisogna tenerne conto costantemente.

Che cosa fa la differenza, nei termini della reputazione, tra l’ottimo sportivo e il “mito”?

Innanzitutto va specificato che non sono gli sport in sé, ma gli individui che lo praticano, a generare reputazione. La prestazione sportiva è fondamentale. Si diventa un mito solo attraverso grandi prestazioni, successi. Lo sport da questo punto di vista è molto genuino. Per fare un esempio, Balotelli non è un mito, è solo una figura molto popolare. Il mito è Maradona, è Pelé, è Cruijff.

Come hai costruito la tua reputazione personale, e il tuo essere diventato un influencer nel campo dello sport?

La reputazione non viene dalla popolarità. Per quanto mi riguarda posso essere diventato popolare – ma preferisco conosciuto – partecipando a un programma come Ballando con le stelle, ma la mia reputazione non arriva da quello. Piuttosto la genera la direzione di un giornale, o un articolo ben fatto, anche se magari provoca divisione tra i lettori. La reputazione si costruisce facendo bene, con la consapevolezza del proprio vissuto storico. Io personalmente sono convinto di lavorare bene. Del resto ho avuto la fortuna, il privilegio, di incontrare grandi maestri, cosa oggi non più così diffusa. E oltre alla mia passione per lo sport ci sono state tante esperienze personali, storie, viaggi e incontri che mi hanno formato. Io non ho mai inseguito il consenso. Il vero segreto è rimanere sé stessi, senza porsi il problema di piacere o no.

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