Stefano Cuzzilla • Il futuro passa per le nuove generazioni

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“Potremo parlare di vero rilancio solo se diamo priorità agli investimenti e se aiutiamo le imprese nello sforzo di ripartire”.

Così il Presidente Stefano Cuzzilla indica la direzione ben oltre la cosiddetta Fase2. Lo abbiamo intervistato per conoscere il punto di vista dei manager industriali: quelli che, in questi mesi, non si sono mai fermati.

La devastante eredità che ci lascia il Covid-19 è fatta di fatturati azzerati e posti di lavoro a rischio stimati in tre milioni. Cosa propone Federmanager per uscire dall’emergenza e pensare a uno sviluppo strutturato?

Questa emergenza sanitaria è anche un’emergenza economica. Per questo, per affrontarla servono finanziamenti straordinari da parte dello Stato e da parte dell’Unione Europea. Su questo, lo voglio sottolineare, il Governo sta dimostrando la propria determinazione in un contesto di grandissima complessità. Si stanno liberando risorse mai viste prima, ma attenzione: sarà utile farlo solo a condizione che questi soldi siano impiegati in favore di programmi e progetti di sviluppo. Tradotto, priorità agli investimenti. E ci vuole managerialità per prendere le decisioni che oggi determineranno il futuro prossimo. Managerialità significa comportamenti e attuazione conformi all’obiettivo comune di recuperare competitività e costruire nuovi modelli di business. Solo così tuteliamo il lavoro, solo così creiamo occupazione.

In un articolo sul Corriere della Sera, intitolato “La classe dirigente che serve al Paese”, Ferruccio De Bortoli ha scritto: “L’intervento dello Stato e l’erogazione di sussidi sono necessari ma non possono che avere una durata limitata. Si tornerà a crescere, sostenendo il peso del debito pubblico, solo se si rilanceranno investimenti, competenze, merito, ricerca, concorrenza. In sintesi estrema: se si avrà cura del capitale umano”. È d’accordo?

L’intervento di De Bortoli ha colto nel segno. Questo Paese è ricco di imprenditori straordinari, di ottimi manager, di grandi lavoratori. Ci siamo sempre distinti grazie a persone capaci che hanno studiato e hanno sperimentato. Persone che ancora oggi sono richieste da ogni parte del mondo per le loro competenze. E, dunque, la vera domanda che ci dovremmo porre tutti è: come si costruisce la competenza? Il futuro si costruisce formando le giovani generazioni: non bastano le iniziative che pur esistono tra alcune grandi aziende e alcuni poli universitari, o programmi verso i giovani che spesso vengono abbozzati in modo disarticolato, senza indirizzi. Serve un disegno che consenta di far emergere i migliori, i talenti, a qualunque ceto sociale appartengano, in qualsiasi parte d’Italia nascano.

In questi mesi di quarantena si è parlato tantissimo di “smart working”. A parte la carenza strutturale di una rete ad alta frequenza che manca in Italia e che ha limitato non poco la possibilità di lavorare in remoto, non crede che le competenze e le professionalità dei manager diventino indispensabili per organizzare una nuova visione progettuale del futuro del lavoro?

Assolutamente. I manager hanno davanti a sé la sfida di trasformare questa crisi in un’opportunità. Lo smart working si sta rivelando una modalità di lavoro efficace e, in molti casi, la vera soluzione per garantire la continuità aziendale. Noi lo dicevamo da tempo, consapevoli che l’Italia fino a ieri si posizionava in fondo alla classifica europea, al 22esimo posto, per diffusione del lavoro agile. Ecco, spetta proprio a chi in azienda prende le decisioni, pianifica e organizza il lavoro fare dello smart working uno strumento valido e diffuso: le aziende più managerializzate, parlo sia di quelle di dimensioni più grandi sia di quelle a forte trazione tecnologica, stanno utilizzando lo smart working nel 97% dei casi. Auspico che il legislatore ci aiuti a sostenere questa che ancora è vissuta come una sperimentazione, aggiornando la normativa in modo da consentire al mondo dell’impresa di adeguarsi velocemente alle trasformazioni in atto.

In Italia si continua ad investire pochissimo in formazione. Basti solo dire che destiniamo all’università appena l’1% del Prodotto interno lordo. Come possiamo competere con il resto del mondo se si continua a penalizzare questo aspetto?

Non solo il sistema dell’istruzione, ma anche quello della ricerca meriterebbero più fondi e maggiore attenzione. È un capitolo trascurato da molti governi e da troppi anni. Si deve partire dalla scuola primaria tenendo bene a mente che, diversamente che in passato, oggi la formazione è per la vita. Ricominciare dal sistema dell’istruzione e da quello della ricerca vuol dire forgiare il futuro: anche se non riusciamo ad averne un’idea compiuta, è l’unica direzione su cui dobbiamo convergere.

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