Piero Armenti • Sogno Newyorkese

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Fondatore del tour operator Il Mio Viaggio a New York e frontman delle relative, seguitissime pagine social, Piero Armenti ha dato voce all’american dream, un concetto ancora oggi molto forte tra tantissimi italiani. Il suo utilizzo delle reti sociali è un vero è proprio case history e, anche per questo, abbiamo voluto raccogliere la sua testimonianza. 

Osservando il tuo percorso, ciò che ci appare chiaro è che, al contrario di quello che fanno molti “influencer” prima hai creato il modello di business e poi ti sei posizionato sfruttando l’online. Ti ritrovi in questa lettura?

Diciamo che io ho visto nei social media semplicemente uno strumento col quale creare una community, avendo chiaro sin da subito che quest’ultima sarebbe dovuta essere orientata verso un business. In particolare, ho compreso subito che c’era questa sorta di vuoto turistico a New York. Per chi non lo sapesse, la mia è ormai l’agenzia turistica leader a New York, con la sede a Times Square, dalla quale offriamo diversi servizi e tour, avendo raggiunto per certi versi quasi un monopolio. E avevo percepito l’esistenza di tale vuoto attraverso un dato empirico, di esperienza: la gente mi chiedeva continuamente consigli su questa città.

Quindi qual era, in particolare, il problema da te individuato?

Il problema consisteva nel fatto che la gente arrivasse a New York avendo in testa una confusione pazzesca e assoluta su cosa fare, dove andare, quali siti visitare, cosa mangiare, quale hotel scegliere. Aveva perciò bisogno di una persona di fiducia – e i social sono stati importantissimi da questo punto di vista perché mi hanno reso familiare alle persone – una voce amica, dunque, che ti aiuta dicendoti cosa fare e vedere e ti guida nell’organizzazione della permanenza, rendendola quanto più piacevole e bella possibile. E la cosa mi fu chiara già ai tempi del mio primo tour organizzato, quello delle terrazze panoramiche che io sponsorizzai e promossi con la diffusione appunto delle immagini e degli scenari godibili dalle terrazze. E chi non avrebbe piacere a vivere un’esperienza così? Solo che non sai come andarci, non sai come fare ad avere un accesso. E facendo leva su questo, siamo arrivati anche a un record di 166 persone in un solo tour dei rooftop, 4 pullman pieni.

Qual è stato secondo te il passo o l’elemento che ha fatto decollare il tuo business?

L’apertura dell’ufficio a Times Square, perché quello è stato un elemento di riconoscibilità importante e la gente ha iniziato anche ad acquistare di più perché ha iniziato a fidarsi di più. Ho proprio in mente quest’immagine dei visitatori che, appena arrivano a New York, non passano neanche dall’hotel, ma si fanno subito portare in agenzia anche con le valigie.

Hai avuto l’intuizione, quindi, dell’importanza che risiede nel portare anche un business nato prevalentemente online verso l’offline, scegliendo di radicarlo fisicamente proprio come obiettivo di marketing.

Esattamente, penso quello sia stato il “tocco geniale”, il guardare a quell’ufficio, sulla 47esima, tra l’Ottava e la Nona, come nient’altro che una importantissima spesa di marketing. E poi, a un certo punto, hai scelto di aprire una nuova azienda e lanciarti in una seconda avventura online, Jerry America. Raccontaci di più. Avevo notato che, al ritorno, i turisti italiani portavano con sé valigie piene di snack americani e allora abbiamo deciso di portarglieli direttamente noi a casa, con un eCommerce, quello appunto di Jerry America. Anche su quel fronte, però, abbiamo un progetto di espansione fisica e di ritorno all’offline, tramite delle bakery e dei fondi di investimento.

Piero, hai un’idea e una definizione personale di reputazione? 

Io credo che ciò su cui si fonda la reputazione di una persona è la consistenza con cui si fa un qualcosa e lo si fa bene, dedicandosi a tale attività in maniera assoluta. Credo che quel cliente che torna in Italia e racconta di te, parlando bene della persona che sei e dei tuoi tour, sia il risultato da raggiungere avendo un team tutto focalizzato sulla costruzione di questo sogno newyorkese.

Concludendo, quali consigli daresti a chi sta pensando di raggiungere gli Stati Uniti e a provare a trasferirsi nel Paese a stelle e strisce?

Il mio primo consiglio è venire innanzitutto a sperimentare, anche solo per 3 mesi o 6 mesi, capire se ci piace e se è nelle nostre corde il trasferimento negli States. Il secondo consiglio è comprendere al meglio se la cosa che ci appassiona di più e in cui eccelliamo può avere mercato negli Stati Uniti. Un terzo consiglio è quello di trovarsi, per iniziare, un socio accomunato dalla nostra stessa passione. In tutto questo, sono convinto, sulla base della mia esperienza negli ultimi 10 anni, che, in questo Paese, se sei persistente e segui in maniera puntuale questi consigli, avrai sicuramente successo.

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