Alan Friedman • Tra progresso e tradizionalismo: gli USA a un bivio

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“Il Covid e la guerra in Ucraina, questi due traumi in tre anni, cambieranno il mondo in modi che non possiamo ancora immaginare, toccheranno ogni aspetto della nostra vita: dai prodotti che consumiamo, al modo in cui lavoriamo, dai flussi commerciali globali ai rapporti tra le nazioni. E siamo ancora dentro al vortice di questo cambiamento epocale semplicemente perché le cose non torneranno come prima”. 

Non ha nessun dubbio sui tempi che stiamo vivendo Alan Friedman, il giornalista e scrittore americano più popolare in Italia e che al nostro Paese ha dedicato il suo ultimo saggio, “Il prezzo del futuro. Perché l’Italia rischia di sprecare l’occasione del secolo” (La Nave di Teseo), in cui racconta i rischi che corriamo, tentati costantemente a lasciare le cose come stanno, se non imbocchiamo la strada giusta della crescita, soprattutto alla luce delle imponenti risorse del PNRR.

Alan, parliamo dell’America: che bilancio fai di questo 2022 che ci siamo lasciati alle spalle? 

Il 2022 per gli Stati Uniti è stato un anno di svolta per Joe Biden che nelle elezioni di Midterm ha sconfitto Donald Trump e le forze di estrema destra, anche se centinaia di deputati del nuovo Congresso (che si insedierà a gennaio, ndr) continuano ad appoggiare l’ex presidente. Comunque è diventato chiaro alla maggioranza degli americani e ad una gran parte del Partito Repubblicano che Trump, con diversi rinvii a giudizio, non va bene per l’America. E poi Biden è riuscito anche a portare avanti una serie di iniziative importanti per combattere il problema più grande del pianeta, cioè il cambiamento climatico, facendo approvare un piano da 368 miliardi di dollari da destinare alla ricerca di energia rinnovabile.

E per quanto riguarda l’economia? 

Dal punto di vista economico è stato un anno in cui l’inflazione è stata così alta che la Fed (la banca centrale americana, ndr) ha cominciato ad aumentare i tassi di interesse, cosa che potrebbe portare gli Stati Uniti ad una recessione mite. La gran parte degli americani, come pure degli europei, è scoraggiata ma dire che sono pessimisti non è vero, nel senso che recessione vuol dire due trimestri di contrazione del PIL e questo potrebbe accadere all’inizio del 2023, però il livello di disoccupazione in America rimane sotto il 4%, la domanda cresce e c’è tanta liquidità.

E poi c’è la guerra in Ucraina con tutte le sue conseguenze…. 

Il presidente Biden è riuscito a mettere insieme una coalizione con l’Europa contro l’aggressione di Putin, insomma l’America è tornata parzialmente ad imporsi come nazione leader, ha stanziato decine di miliardi di aiuti per l’Ucraina e questo impegno continuerà.

E sul fronte dei rapporti con la Cina cosa prevedi?  

Il 2023 sarà un anno in cui il rapporto rimarrà più di concorrenza che di collaborazione. La Cina sta diventando la superpotenza economica del XXI secolo, fra dieci anni supererà il PIL degli USA, e quindi le relazioni sono difficili e complicate ma ci sono stati dei segnali positivi dopo l’incontro tra Biden e Xi Jinping al G20 di Bali a novembre scorso. Forse Biden ha capito che le critiche alla Cina non devono essere “gridate”, che non bisogna mandare tecnologia militare a Taiwan mentre c’è un fronte aperto con la Russia. Spesso in politica estera noi americani creiamo le nostre profezie, c’è il rischio che si autoavverino: più Biden attacca la Cina più il problema crescerà, più c’è la diplomazia silenziosa meglio andrà.

Se l’America è autosufficiente dal punto di vista energetico, non è proprio così sotto altri aspetti…   

Gli Stati Uniti hanno speso 50 miliardi di dollari per realizzare impianti di semiconduttori e di chip in modo da affrancarsi dalla dipendenza di Cina e Taiwan (quest’ultima fornisce il 75% di circuiti integrati impiegati nella produzione di smartphone, tablet, elettrodomestici, autovetture, ecc..), incentivando un processo che andrà avanti per 10 anni. Il Covid e la guerra hanno mostrato le debolezze delle catene di fornitura mondiali ed è in corso un parziale processo di “reshoring” per riportare “a casa” certi prodotti e materiali strategici, ritornando così ad essere autonomi. Anche l’Europa dovrebbe farlo: ha annunciato che dal 2035 produrrà solo auto elettriche ma le batterie, le pile al litio che servono dovrà comprarle per il 99% dalla Cina. 

Come giudichi i rapporti tra Usa e Italia?

I rapporti tra Roma e Washington rimarranno molto positivi. Cambiano i governi in Italia ma non cambia la storica amicizia, l’alleanza militare, economica commerciale ma soprattutto culturale. L’Italia è uno dei paesi europei più amati dagli americani ed è importante che il nuovo governo Meloni continui ad essere membro fedele e leale della Nato.

Questo numero di Reputation Review è dedicato all’American Dream: esiste ancora il sogno americano?

Il sogno americano è frantumato. L’America è un Paese dove ogni giorno c’è una sparatoria e cresce il numero delle stragi di massa, dove il Partito Democratico è diviso tra la sinistra estrema e i moderati e quello Repubblicano tra trumpisti e moderati, la società è spaccata tra odio e guerra culturale su temi come i rapporti tra bianchi e neri, tra eterosessuali e omosessuali, l’accoglienza ai migranti. C’è una fetta consistente della popolazione bianca, tra 10 e il 20%, impaurita dal fatto che presto la maggioranza degli americani sarà costituita da persone di colore o asiatici. È un dato demografico ma è anche la base del suprematismo bianco che per l’FBI rappresenta la minaccia più grande, quella del terrorismo domestico. L’America sta cercando di ridefinire il suo ruolo nel mondo multipolare e continua ad andare forte sotto il profilo economico ma dal punto di vista della società è un Paese meno civile e in cui il sogno americano sembra non esistere più, dove le aspettative per la prossima generazione non sono quelle di una vita migliore, come accadeva invece nel passato. Insomma, l’America è a un bivio: culturalmente e politicamente c’è una parte che vuol regredire e una parte che vuole andare avanti.

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