Tasse e sostenibilità

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Alcuni sostengono che all’acronimo ESG dovrebbe essere aggiunta la T di Tax. Anche a mio avviso, e non da poco tempo, la questione fiscale sta emergendo come centrale nel discorso sulla sostenibilità.

A monte di qualsiasi considerazione tecnica cosa significa pagare le giuste imposte se non aiutare il proprio Paese a rendere sostenibile in senso lato la tenuta dello stesso?
Se vogliamo, poi, in tempi di coronavirus il binomio Tasse – Sostenibilità acquista maggior chiarezza posto che gli investimenti da destinare alla salute pubblica sono logicamente danneggiati dai comportamenti dei privati che non hanno un rapporto esemplare col fisco.

Farebbe sorridere, se non fosse avvilente, la evidente incoerenza delle aziende che, magari facendo greenwashing, propagandano il proprio alto livello di sostenibilità senza affrontare il tema del loro rapporto col fisco o la loro scarsa trasparenza fiscale magari condita dalla presenza, quasi mai giustificata da valide ragioni economiche, in paradisi fiscali. È quasi banale affermare che per raggiungere obiettivi di sviluppo sostenibile le imposte bisogna pagarle nel paese in cui si produce il valore economico.

Ma possiamo fare tutti I forum europei che vogliamo, auspicando la responsabilità fiscale delle imprese, la carta della responsabilità fiscale delle imprese, la drastica riduzione delle politiche fiscali di gruppo esageratamente aggressive. Ma finché in Europa continueranno a coesistere sistemi di fiscalità totalmente squilibrati, territori franchi solo in alcuni paesi e basi imponibili totalmente differenti da nazione a nazione non credo che raggiungeremo grandi risultati. Si corre il rischio di rimanere a livello di chiacchiere.

Ci vuole più impegno da parte di un’Europa che peraltro fa fatica anche ad acquistare in maniera coerente vaccini contro il virus. E per tornare ai drammatici tempi odierni in cui, giustamente, molte imprese chiedono allo Stato sussidi per far fronte ai crolli di fatturato sarebbe auspicabile una normativa che preveda che questi aiuti non possano andare ad aziende fiscalmente non sostenibili.
Ovviamente quanto detto per le tasse vale anche per i contributi previdenziali. È altrettanto evidente il rapporto che esiste tra il corretto pagamento dei contributi e la capacità dello Stato di erogare pensioni… che poi vanno agli anziani… che poi si devono curare…. che poi corrono il rischio di saturare gli ospedali e così via.

Ma in definitiva la sostenibilità passa per tutto lo scibile del corretto intraprendere. Auspichiamo una compliance continua che consenta alla azienda di pensare in modo più strategico a cosa intende per ESG e come I rischi ESG (scarsità di risorse naturali, abusi dei diritti umani nella catena di fornitura, discriminazione sul posto di lavoro, frodi contabili, evasioni fiscali o contributive) possano avere impatti fortemente negativi nel lungo termine sui risultati economico finanziari dell’azienda oltre che del Sistema Paese.

In fin dei conti personalmente ritengo che tale compliance continua rappresenti una sorta di due diligence perenne che miri alla verifica del rispetto di tutte le norme che regolano il governo e l’operatività della azienda. In definitive quando si fa una acquisition due diligence cosa si fa se non valutare la tenuta e quindi la sostenibilià della azienda nel tempo? E tutti I rilievi di non compliance che ne derivano servono a determinare il valore reale della azienda con modifiche in negativo rispetto al valore teorico.

E da ultimo auspico la grande valorizzazione del manager della sostenibilità che di questa due diligence continua dovrebbe rappresentare il garante con un ruolo di enorme e trasversale responsabilità aziendale.

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