Massimo Scaccabarozzi - Presidente Farmindustria • Covid-19: l’industria del farmaco prima barriera alla pandemia

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Massimo Scaccabarozzi, milanese, laureato in Farmacia, presidente di Farmindustria dal giugno 2011 e riconfermato a luglio di quest’anno per la quarta volta: è componente del Consiglio IFPMA (Federazione Internazionale delle Imprese e delle Associazioni del farmaco) e Amministratore Delegato di Janssen, azienda farmaceutica del Gruppo Johnson & Johnson. Appassionato di rock è frontman, chitarrista e cantante della JC Band con la quale si esibisce per scopi benefici: lo abbiamo intervistato su alcuni temi di stretta attualità.

Presidente, sembra che la reputazione delle aziende farmaceutiche abbia invertito la rotta e goda di ottima salute, stando almeno a quanto emerge da diverse analisi condotte a seguito della pandemia da Covid-19…

La pandemia ha evidenziato la centralità della ricerca sia per la salute dei cittadini, sia per l’economia del Paese. Medici, personale sanitario, università, istituzioni e industria stanno lavorando uniti per rendere disponibili al più presto cure e vaccini efficaci. In Italia abbiamo cercato di fare la nostra parte con le aziende associate, mettendo in atto iniziative di solidarietà importanti: 12 milioni di euro di donazioni di farmaci, 29 milioni di dispositivi protettivi e, soprattutto, abbiamo tenuto aperte le aziende anche durante il lockdown. In Italia sono mancate le mascherine ma non i farmaci, per il semplice fatto che li produciamo qui. Le nostre aziende hanno adottato misure rigide fin dall’inizio per proteggere dipendenti e ricercatori e non abbiamo mai interrotto la produzione. La pandemia ha fatto capire che in momenti come questi, gravi, ci sono alcuni settori che hanno reagito prontamente, come l’industria del farmaco. D’altronde, alla fine della fiera, quello che facciamo è regalare vita attraverso le nostre scoperte scientifiche riformulate in farmaci e vaccini. Negli ultimi dieci anni la mortalità in Italia si è ridotta del 23% e, nell’ambito delle malattie cardiovascolari, addirittura del 30%. Oggi due malati su tre sono vivi a cinque anni di distanza dalla diagnosi tumorale, l’epatite C è praticamente scomparsa grazie a nuovi farmaci. Trent’anni fa un malato di HIV si sedeva davanti a un medico per sapere quanti mesi di vita gli restavano; oggi lo stesso malato si siede davanti allo stesso medico accanto ad un malato di diabete e, nonostante i progressi fatti nella diabetologia, l’aspettativa di vita del malato di HIV è superiore a quella del malato diabetico. Ecco perché aumenta la reputazione dell’industria farmaceutica. La pandemia ha reso evidente un dato fondamentale e cioè che la ricerca o la fa l’industria o non la fa nessuno.

Al di là di quello che leggiamo, Presidente, sappiamo bene che per avere un vaccino efficace e sicuro per il Covid non basteranno pochi mesi, per quanti sforzi si potranno fare. La cosa che mi lascia perplesso è che non ci si è concentrati altrettanto sulla cura…

Non è così. È vero, si parla solo del vaccino ma, nella realtà, solo in Italia abbiamo in fase avanzata più di 50 studi, approvati dall’Agenzia del Farmaco, su molecole già esistenti ed efficaci su altri virus, ma che ancora non hanno dato gli stessi risultati sul Covid. Personalmente ho molte speranze su un nuovo antivirale: ma anche gli anticorpi monoclonali somministrati al presidente uscente degli USA, Donald Trump, durante il suo breve ricovero per Covid, danno molte speranze. Purtroppo se ne parla poco e, nonostante i nostri sforzi, l’informazione è molto carente.

Forse, questa potrebbe essere un’occasione per l’industria farmaceutica di investire maggiormente in comunicazione?

Credo che sia importante una riflessione al nostro interno su come comunicare quello che noi effettivamente facciamo. In Italia produciamo farmaci, dispositivi medici, vaccini per un valore superiore a 34 miliardi di euro ed esportiamo in tutto il mondo l’80% di quanto produciamo. Gli investimenti non si sono mai fermati, sia delle aziende a capitale italiano che a capitale straniero. Solo a titolo d’esempio, il Gruppo Johnson&Johnson investirà 58 milioni di euro entro il 2021 per lo sviluppo e l’innovazione della consociata Janssen Italia di Latina di cui sono amministratore. Durante il lockdown, anche nelle zone rosse, l’industria del farmaco ha continuato a lavorare così come i nostri ricercatori. Deve sapere che un malato inserito in un protocollo di ricerca autorizzato dall’AIFA con farmaci sperimentali se non va in ospedale non può prendere il farmaco, per questo ci siamo organizzati per far avere a domicilio dei paziente questi farmaci, nel rispetto della prescrizione medica, della privacy e della sicurezza.

Sono girate e girano ancora, in rete e sui media, “fake news” che, a proposito dell’uso di farmaci e vaccini, hanno prodotto notevoli danni…

Una cosa inquietante. Torniamo al discorso sull’informazione e sulla comunicazione: è importante che i cittadini, l’opinione pubblica e i giornalisti diano spazio ai veri valori della vita. La pandemia è stata una sorta di detonatore per propalare messaggi finalizzati a incutere terrore e paura. Per parte nostra abbiamo cercato, con molta fatica, di comunicare responsabilità e senso della realtà, di dare fiducia, prudenza e non creare false aspettative. Ma il cammino è ancora lungo. Voglio sbilanciarmi però sui vaccini: ce ne sono tre o quattro che sono vicinissimi al traguardo e, come ha detto l’OMS, è possibile che entro fine anno o, al massimo, per l’inizio del prossimo anno potremo passare alla produzione industriale.

Da più parti s’invoca una sorta di “prezzo politico” per il vaccino Covid, una volta realizzato. I detrattori dell’industria farmaceutica dicono che la corsa a chi arriva prima è finalizzata ad imporre prezzi alti ai cittadini e ai governi…

Non c’è una corsa a chi arriva prima per fare più soldi. C’è una corsa contro il tempo per fermare questo flagello che sta mettendo a rischio il nostro modo di vivere. Molte aziende impegnate nella ricerca stanno trattando con la Commissione Europea per mettere a disposizione, nella fase pandemica, centinaia di milioni di dosi a prezzo di costo su base no-profit. Questo credo sia un fatto positivo, se ci si toglie i paraocchi ideologici. In questo senso vorrei dare atto al nostro Ministro della Salute, Roberto Speranza, che ha dato vita a una coalizione insieme ai ministri francese, tedesco e olandese, per trattare con le aziende la prenotazione dei vaccini per l’intero continente europeo.

Volevo chiudere questa chiacchierata, presidente, ritornando da dove siamo partiti e cioè la reputazione dell’industria farmaceutica. Dopo quello che ci siamo detti, cosa manca ancora per togliere quella patina che ancora offusca l’immagine dei produttori farmaceutici e cioè fare soldi sulla salute della gente?

Vaste programme, direbbe De Gaulle. Io ho un sogno che, forse, non vedrò mai realizzato. Quello che i cittadini, messi di fronte alla realtà così com’è, siano capaci di distinguere « il grano dal loglio» per citare i Vangeli. Che cioè capiscano che molte voci sono messe in giro ad arte per creare confusione, disagio e paura, per scopi non propriamente nobili. Per restare nella metafora religiosa, in termini di reputazione, mi piace citare Papa Francesco: Lui sì, che ne ha una ottima. Ha detto il Pontefice: “Il peccato più grande di questa pandemia sarebbe quello di sprecarla”. Ecco, mi auguro che tutto quello che è successo e che ancora stiamo vivendo rimanga nella memoria delle persone. Che non tutto finisca con pressappochismo. Non mi riferisco solo alla maggioranza degli italiani che non hanno competenze tecniche e responsabilità politiche, mi riferisco a quelli che sono stati eletti e chiamati a gestire la salute dei cittadini, l’economia e il vivere civile. Un ruolo importante ce l’hanno i malati e le associazioni dei pazienti che sanno, perché direttamente colpiti, il valore della ricerca, delle terapie, perché conoscono il valore della vita. Noi ci siamo inventati “L’orologio della vita” per rendere visibile lo scorrere del tempo e dell’attesa di
vita che aumenta di un mese ogni tre. La gente non lo sa ma è grazie alla ricerca, svolta all’80% dall’industria del farmaco, che l’età media di vita dei nostri nonni, circa 70 anni, è così aumentata che oggi, non a caso, a 70 anni vogliono ancora farci lavorare.

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