Il cinema e la televisione hanno sempre avuto un forte impatto nel rappresentare e modellare i comportamenti e le abitudini. Secondo la psicologa clinica e dottoressa dell’Unesp Deborah Perez, le produzioni audiovisive, oltre a influenzarci, ci aiutano a dare forma alla nostra personalità. “L’uomo è quello che è nel suo stare al mondo: agire, produrre, consumare, avere rapporti… in tal modo, esiste influenza diretta del prodotto mediatico sulla nostra soggettività”.
Come cambiamo la percezione del mondo e quindi le nostre abitudini d’acquisto grazie ai film, grazie ai libri, grazie alla TV e grazie alla cultura? Da sempre dopo aver seguito una serie di grande successo, o visto un film, riproduciamo le diverse caratteristiche o situazioni dei personaggi.
“L’imitazione succede in modo naturale, l’uomo è gregario. Ciò significa che siamo naturalmente sociali e abbiamo bisogno dell’altro per conoscere noi stessi, per identificare in cosa siamo simili o diversi. Tutto questo meccanismo che nasce dai prodotti mediatici funziona come un’ancora per la conoscenza di sé stessi”.
Il cinema e la TV sono da sempre un mezzo quindi per influenzare e plasmare consumi e società.
Ci sono state tante iniziative di marketing importanti ma nulla può essere paragonato all’incontro tra il mondo del cinema e della TV con quello dei brand. Un brand smette di essere un prodotto commerciale di consumo e diventa icona. Ne viene alterata totalmente la percezione. E la percezione è tutto. Pensiamo ad esempio alla città di New York. Città da dove sto scrivendo questo articolo.
Intorno alle 21:30 del 13 luglio 1977, New York sprofondò nel buio a causa di un’avaria alla rete elettrica della città provocata da alcuni fulmini. Il blackout cessò quasi ventiquattro ore dopo, alla fine delle quali erano stati saccheggiati 1.616 negozi e arrestate 3.776 persone.
Questi dati non sono che il sintomo del fatto che il blackout colpì una New York al culmine di un grave periodo di decadenza. La città, infatti, stava affrontando una forte crisi finanziaria ed era afflitta da altissimi livelli di disoccupazione oltre che di criminalità. Solo due anni prima, a causa di un ampio taglio al personale, vennero licenziati circa 50.000 tra poliziotti e vigili del fuoco.
Al picco del disastro, fu organizzata una campagna pubblicitaria intitolata “Welcome to Fear City” (“Benvenuti nella Città della Paura”), il cui messaggio principale era una raccomandazione: stare il più possibile lontani da New York.
Demonizzata dai giornalisti di tutto il mondo, l’immagine della città non era mai stata così danneggiata e doveva essere trovata in fretta una soluzione. Fu allora che il Department of Commerce (DOC) di New York decise di intervenire. Aumentò il budget annuale dedicato al turismo da $400.000 a $4.3 milioni per finanziare la campagna di re-branding più forte e di vasta portata che lo Stato avesse mai visto.
L’incarico venne affidato all’agenzia pubblicitaria Wells Rich Greene, che molto presto creò il famoso slogan “I love New York”. Una volta prodotto il motto, era necessario un logo. L’incarico fu dato a Milton Glaser, creativo dell’agenzia. La leggenda narra che fosse in taxi quando gli venne l’idea del logo e subito la abbozzò su un foglio. Il logo fu il pretesto per ripulire l’immagine della città e cambiare la sua narrazione attraverso il cinema e la TV.
La popolazione si sentì per la prima volta parte di qualcosa, unita sotto uno stesso simbolo, una stessa cultura, una stessa anima. Il cinema diede lo sprint finale. New York era la città in cui vivere. Ora voi penserete: che cosa c’entra questo aneddoto, quello del branding di una città con quello della propria azienda o della propria organizzazione?
Per spiegarlo prenderò in prestito le parole dello stesso Glaser: “Penso che l’effetto più profondo sia avvenuto internamente. Una cosa che sappiamo è che la realtà è condizionata dalle credenze. Qualunque cosa tu creda, sarà ciò che percepisci dalla realtà. E quando le persone pensavano ‘questo è un posto terribile’ lo era; il giorno che invece hanno pensato ‘questo è un posto fantastico, voglio vivere qui’ lo è diventato”.
Questo pensiero riassume perfettamente il grande impatto che può avere il cinema sulla percezione che si ha di un luogo o un prodotto. In questo caso, è riuscito addirittura a rovesciare completamente il destino di un intero Stato e rendere New York nota, amata e attiva come oggi la conosciamo.
Sono la TV e il cinema ad aver reso figo e diffuso negli Stati Uniti il consumo di caffè, ad aver conclamato Tiffany come un brand cult, a rendere iconici alcuni locali di Manhattan, ad aver reso il brand Da Michele, dell’amico Alessandro, una delle pizzerie più riconosciute al mondo, ad aver rilanciato le vendite di un modello di Vans in disuso (ndr. Per apparizione in Squid Game).
A dimostrazione di questo, l’articolo che leggerete lo avrei potuto scrivere ovunque, anche nel bagno, ma l’averlo scritto in un luogo suggestivo come la Public Library mi ha fatto venire voglia di condividere il momento sui social (e mettere la foto in questo articolo) quasi come a sentirmi il dr. Peter Venkman in Ghostbusters o Charles Foster Kane in Quarto potere. Sarà stata a influenzarmi l’energia del luogo o la suggestione prodotta?
Approfondiremo l’argomento in questo numero di Reputation Review, analizzando al meglio anche la connessione che esiste tra TV e potere, e cercando di capire in che modo produrre contenuti di intrattenimento può portare alla consacrazione definitiva del vostro brand. Lo facciamo anche perché in questi giorni nasce Business+, la prima TV pensata per manager e imprenditori, la TV che, di fatto, crea “l’Intrattenimento Business”.
L’idea è che proprio un manager o imprenditore come te possa utilizzare questo strumento per definire definire la propria differenziazione e trasmettere i valori fondanti del proprio business.
Abbiamo pensato che la formula “intrattenimento business“, coniata in questi giorni, si basi su 3 pilastri:
Osservazione: Si analizzano i contenuti che offrono aziende o media che parlano ad un target simile o uguale. Sulla base di ciò, ci si chiede quale di questi contenuti sia più interessante per il cliente ideale e quale invece no, così da iniziare a individuare delle “falle” nei metodi da colmare.
Ricerca: Qui basta utilizzare uno strumento gratuito, a disposizione di tutti e dalle enormi potenzialità. Lo strumento di studio delle parole chiave di Google. Basta inserire parole inerenti al proprio business, e il software in automatico fornirà un’analisi approfondita sui volumi di ricerca delle parole e delle problematiche legate alla propria attività. Facendo poi una ricerca su Google ci si può facilmente accorgere di quali siano le caratteristiche che ritornano in questi contenuti privilegiati.
Strategia: Si inizia a pianificare il nostro contenuto: esso deve rispondere alle esigenze del pubblico meglio di quanto facciano quelli dei concorrenti e, allo stesso tempo, deve essere orientato verso l’intrattenimento.
Le domande da porsi sono:
- che cosa so fare meglio degli altri nel mio business?
- con che tipo di contenuti mi trovo a mio agio?
- come posso migliorare ciò che i miei concorrenti fanno?
- in che modo i miei contenuti possono essere di beneficio per il mio pubblico ideale?
- come posso comunicare questo beneficio al meglio?
- c’è una nicchia di pubblico che ho trascurato e che posso invece raggiungere meglio con i miei contenuti?
- cosa dei miei contenuti già creati posso riproporre perché è andato bene, o migliorare perché ha del potenziale?
Insomma, il content vincente è quello che risolve i problemi del pubblico in modo migliore o più approfondito rispetto a quello dei concorrenti, e con cui ci si sente a proprio agio. L’obiettivo è quello di investire in ciò in cui si è più bravi, permettendo al nostro contenuto di guadagnarsi il tempo e l’attenzione del pubblico. Per farlo, quindi, non ci si può limitare a quello che fanno gli altri, ma bisogna creare qualcosa di unico tramite la differenziazione del nostro metodo e del modo in cui vogliamo raccontare il nostro prodotto o servizio.
Lo si può fare tenendo a mente diversi stili di narrazione, cercando di capire quello che più si addice alla propria strategia, un reality, un talk, un documentario, un approfondimento di inchiesta, oppure, più semplicemente, si può puntare sul rendere il nostro contenuto molto più pratico degli altri o scriverlo da un punto di vista inedito.
Da ciò deriva il concetto di “intrattenimento business”: il tipo di contenuto che funge da punto d’incontro tra ciò che i clienti trovano utile, ciò che trovano piacevole guardare e ciò che tu puoi offrire loro. Per dirla in altre parole: questo contenuto risponde agli interessi del pubblico e, allo stesso tempo, genera domanda per il tuo prodotto o servizio.
Ad esempio, se hai un negozio online di prodotti per il giardinaggio e scrivi una bellissima guida su come sbarazzarsi delle erbacce, il contenuto è utile per il pubblico e probabilmente piacevole da guardare, ma niente di più.
Se in questa guida aggiungi anche dei consigli pratici con cui il pubblico può risolvere il problema utilizzando i tuoi prodotti, affiancando all’immagine del tuo brand quella di volti riconosciuti del mondo dello spettacolo allora hai creato “intrattenimento business”: fornisci un reale valore al tuo pubblico e, allo stesso tempo, generi il bisogno di acquistare il tuo prodotto o servizio.
Dal 15 aprile su Business+ troverai quindi da un lato tanti contenuti di qualità utili per implementare diversi segmenti della propria attività, dall’altro uno strumento eccezionale per raggiungere gli 85.000 manager e imprenditori che hanno già aderito alla piattaforma grazie alle nostre partnership.