Il docufilm “Falliti” ha portato sul grande schermo una questione delicata e complessa come quella del sovraindebitamento. La legge 3 del 2012, detta anche “salva suicidi”, è nata con l’intento di aiutare tutti coloro che vogliono avere una seconda possibilità sul piano economico e sociale, e che non vogliono più essere etichettati come “falliti”. Tra le tante voci che si alternano nel docufilm e che hanno contribuito a raccontare questa triste realtà, troviamo anche quella dell’avvocato Daniele Restori, che da diversi anni si dedica alla causa.
Abbiamo potuto apprezzare un suo contributo nel docufilm “Falliti”.
La mia partecipazione al docufilm è consistita in una breve intervista durante la quale, però, ho fatto del mio meglio per spiegare la normativa, il nuovo codice e la sua applicazione.
Un documentario del genere può far conoscere al grande pubblico un tema così complesso e delicato e del quale non si parla ancora abbastanza?
Assolutamente si. Ma spero soprattutto che ci sia più riguardo da parte di alcuni giudici che hanno ancora poca voglia di concedere l’esdebitazione automatica, perché in molti ancora pensano che chi ha avuto un fallimento si debba portare dietro i debiti per tutta la vita. Ci sono giudici che applicano effettivamente la legge e altri che ancora trovano degli escamotages per non applicarla.
Perché in Italia sopravvive ancora questo stigma?
Per la mia esperienza, posso dire che i giudici che magari hanno avuto casi in famiglia o sono maggiormente sensibili alla questione si approcciano in maniera più comprensiva, mentre ci sono altri giudici che hanno un’idea del “fallito” un po’ troppo ancorata al diritto romano e pensano che ci sia uno scopo di lucro dietro tutto questo, quando, invece, non è assolutamente così. Contrarre un milione di euro di debiti è più facile di quanto si possa pensare e anche solo iniziando ad avere 5 o 6 dipendenti è facile arrivare a questo genere di situazione, con importi debitori davvero molto elevati.
Come è nata la sua collaborazione con Legge3.it?
Dopo la crisi del 2008 ho visto tantissimi casi di fallimento e ho iniziato, così, ad occuparmi di diritto fallimentare, anche perché in ufficio non lo trattava nessuno. Mi sono imbattuto in questa legge nel 2015, pur essendo stata promulgata nel 2012. Poi qualche tempo dopo, per caso, mandai il mio curriculum a questa associazione, Legge3.it, che mi ricontattò. Da lì abbiamo iniziato questo lungo percorso insieme. Nel corso degli anni abbiamo ottenuto risultati concreti e soddisfacenti, per cui mi sono state affidate sempre più pratiche e oggi gestisco una mole di lavoro impressionante, ma è una cosa che mi gratifica.
Come si approccia ad un assistito che vive una grave condizione di indebitamento e spera di ricominciare da capo?
Ormai ho a che fare solo con questa tipologia di casi. Hanno sicuramente delle caratteristiche che li accomunano, ma sono anche molto diversi tra loro. Con me inizialmente si sentono in dovere di giustificarsi, provano un senso di vergogna; per me, invece, non c’è assolutamente bisogno di giustificazione. Il mio compito è arrivare ad un risultato che sia ottimale per me e soprattutto per loro che vivono questo dramma. A me non interessa chi ho davanti, può prendere uno stipendio da 1500 euro come anche da 3000, a me non cambia nulla. Devo risolvere un problema, dando loro una soluzione che fino ad oggi sono sempre riuscito a trovare.
Secondo la sua esperienza quali sono quindi le caratteristiche che accomunano i suoi assistiti?
Solitamente sono casi molto analoghi tra loro. Premetto che più del 90% dei miei assistiti sono ex imprenditori, soggetti che avevano una S.r.l. ai quali purtroppo è andata male; poi c’è un 10% che non hanno mai avuto un’attività ma che hanno continuato a chiedere credito in modo esorbitante e le finanziarie hanno proseguito a concedere loro soldi.
Come si immagina il futuro della legge 3?
Sicuramente migliore. Io ho iniziato nel 2019, quando soltanto a Roma, ad esempio, c’erano 20 pratiche in un anno. Ma tuttavia vedo che stanno aumentando esponenzialmente. Purtroppo, ci sono anche tante criticità nell’applicazione della legge, ovviamente dipende anche tanto da tribunale a tribunale, c’è una burocrazia che varia da caso a caso, quindi, questi due aspetti portano magari il soggetto ad essere demoralizzato e disincentivato. Purtroppo, tante persone finché non vengono assolte definitivamente dai debiti non ci credono davvero e su di loro grava pesantemente la propria condizione fino alla fine.