Il concetto di sovraindebitamento in Italia viene a volte declinato nelle sue forme peggiori, costituendo un vero e proprio stigma sociale il cui peso psicologico per chi ne è coinvolto può elicitare effetti fortemente tossici dal punto di vista mentale. In tal senso gli effetti della condizione di sovraindebitamento vengono ancora molto sottovalutati sia in termini di effetti a breve termine che a lungo termine sulla condizione psichica della persona coinvolta che, nei casi più gravi, può arrivare a compiere un gesto estremo.
Molti si chiedono se effettivamente esista una correlazione tra il sovraindebitamento e suicidio. Per rispondere a tale quesito è importante sapere cosa accade nella mente della persona sovraindebitata o che vive un forte malessere per un’eccessiva esposizione debitoria a cui non riesce a far fronte.
Si tratta di una situazione fortemente usurante dal punto di vista mentale, dove si può arrivare a sperimentare un particolare dolore mentale per il quale si cominciano a perdere le speranze nel futuro – in termini clinici hopelessness – e tale condizione inizia a rendere faticoso mentalmente considerare alternative all’unica via d’uscita, illusoria, ovvero il suicidio, una vera trappola psichica. Tale dolore, che può portare il soggetto ad una forma di isolamento tanto sociale quanto intrafamiliare, può diventare sempre più insopportabile ed intrusivo. L’unica via di fuga da quel dolore appare il gesto estremo. L’isolamento è un fattore che amplifica tutto questo, ed inizia sin dalle prime fasi: si possono perdere i conoscenti, poi gli amici, poi i parenti ed infine, non di raro, la famiglia. Con la perdita di quest’ultima vengono meno riferimenti salutotropi importanti che in determinate condizioni possono essere salvifici per la persona coinvolta.
Oggi, non solo esperti del settore, ma anche ricerche scientifiche dimostrano la patogena correlazione tra sovraindebitamento e suicidio, dove il suicidio è soltanto l’ultimo anello di una lunga catena. In Italia il numero di persone che si sono tolte la vita per motivi economici è impressionante – dove la fascia d’età più coinvolta è dai 45 ai 65 anni e si sta drammaticamente abbassando – e ancora troppo sotto stimato, e lo dico non solo come Presidente nazionale dell’Osservatorio Violenza e Suicidio, ma come professionista che si confronta quotidianamente con persone coinvolte proprio da quel dolore mentale.
Ritengo, alla luce di tutto ciò, urgente e necessario un cambio di rotta in cui venga messa al centro del focus attentivo una corretta azione di prevenzione selettiva che agisca capillarmente su tutto il territorio creando una strutturata rete, ben studiata, volta a ridurre significativamente i suicidi per sovraindebitamento e agevolare le strade di uscita ma prima ancora volta ad evitare che persone finiscano in quel buio tunnel nel quale non si intravede una via di uscita. Per poter far ciò occorrono leggi più incisive che possano concretamente aiutare chi ne è coinvolto e prima ancora punti sulla prevenzione.
Ricordandoci che ogni forma di malessere sociale incide significativamente non soltanto sul nostro Sistema Sanitario Nazionale ma costituisce un rallentamento dell’uomo verso il concetto di salute indicato dall’Organizzazione Mondale della Sanità, ovvero salute non più come assenza di malattia ma come benessere fisico, sociale e mentale.