Mi chiamo Giusy Esposito, ho 28 anni e sono “un’ingegnera”. Mi sono laureata in Ingegneria dell’Automazione all’Università Federico II di Napoli a ottobre 2020 e oggi lavoro per Italrobot, impresa Campana che opera nel campo della robotica e dell’automazione industriale con attenzione ai nuovi piani di ricerca applicata. In azienda seguo progetti di ricerca e innovazione e la gestione tecnico-programmatica di installazioni specifiche presso clienti operanti in vari settori industriali.
Per me non è stato subito semplice scegliere che corso di laurea frequentare: ero certa, però, di voler seguire la mia passione per le materie scientifiche e la mia curiosità tecnologica. Poi mi sono imbattuta in questo nuovo indirizzo, ingegneria dell’automazione, che forma gli studenti in robotica, sistemi di controllo e automazione industriale.
Ricordo che, tra chi mi chiedeva cosa avessi scelto di fare, il mio corso di laurea non riscuoteva particolare entusiasmo, anzi ricevevo molti avvertimenti: “Sarai circondata da ragazzi”. Come se, invece di andare all’Università, avessi deciso di ficcarmi in una tana di lupi.
Talvolta continuo a domandarmi perché essere tra le poche donne in un contesto prettamente maschile per gli altri fosse un problema. Per me non lo è mai stato. Nonostante le poche colleghe donne (eravamo 3 su 30 matricole del corso), eravamo tutti uguali e, a parte la tensione per qualche esame, ho avuto una vita universitaria serena. È vero che, tra i colleghi, talvolta si percepiva un po’ di disappunto dettato dal sospetto che qualcuna potesse superare qualche esame aiutata dall’aspetto fisico, ma, proprio per tenermi lontana da tali insinuazioni, ho profuso ancora più impegno negli studi per presentarmi agli esami con una preparazione adeguata e oggettiva.
Tale impegno mi ha portata, a inizio 2020, a trasferirmi per sei mesi in Francia per sviluppare il progetto di tesi magistrale, grazie anche a una borsa di studio che mi ha permesso di vivere una grande esperienza formativa, avvenuta in piena emergenza COVID. Un mese dopo la laurea, ero già in Italrobot.
Qui mi sento a mio agio, non ho difficoltà operative, sono sufficientemente autonoma pur essendo neolaureata e percepisco un’atmosfera di collaborazione, rispetto e in taluni casi di sostegno e tutela. Devo dire che, alla serenità sul lavoro, fa da contraltare un po’ di disagio nell’relazionarmi col mondo esterno: la mia professione continua a suscitare meraviglia, stupore, quasi fosse strano che una donna abbia intrapreso una strada così tecnico-specialistica. Altre volte, mi vedo costretta a esplicitare il mio ruolo di ingegnere.
In Italrobot, poi, sono coinvolta anche nella formazione 4.0 di studenti di istituti tecnici, attività in cui crediamo molto e che svolgo grazie al supporto indispensabile di colleghi più anziani ed esperti. All’inizio ero titubante nell’accettare una tale responsabilità: parlare in pubblico non è mai stato il mio forte. Oggi invece mi sento sicura e interfacciarmi con gli studenti è molto stimolante: mi permette di tenere un occhio sul futuro dell’ingegneria e della robotica, che, purtroppo, sembrano continuare ad essere per lo più appannaggio maschile. Mi sono resa conto, anche con un po’ di rammarico, che la quota femminile è poco presente nell’ambiente delle materie STEM (Science, Technology, Engineering, Mathematics), ancora percepito come inadatto alle donne.
Mi auguro che, col tempo e anche con il mio piccolo contributo, questa percezione si attenui e sentir dire che una donna è un ingegnere non suoni più così strano.
