Si scrive “competenza” ma si legge “maschilismo”

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Questo che vi apprestate a leggere è stato per noi forse il numero di Reputation Review più impegnativo di sempre. Non soltanto perché il tema che tratta ha molte sfaccettature, difficili da affrontare tutte insieme e al tempo stesso nessuna delle quali volevamo trascurare, ma anche perché sapevamo essere un tema che probabilmente per molti lettori avrebbe inevitabilmente acquisito un significato particolare.

Nel mio ultimo editoriale (intitolato “È giunto il momento di investire nell’oro rosa”) sottolineavo come, se da una parte i nostri bias (e quindi quelli delle nostre aziende) ci portavano a scegliere a parità di meriti collaboratori uomini rispetto alle donne, allora ciò a mio avviso implicava che per contro era statisticamente più probabile assumere (o promuovere) una donna competente piuttosto che un uomo competente.

Facciamo un piccolo esperimento mentale. Posto che la nostra popolazione sia equamente suddivisa tra uomini e donne (così non è, ma ciò non farebbe che rafforzare ulteriormente il ragionamento), e posto che i soggetti “competenti” siano equamente distribuiti in percentuale tanto tra gli uomini che tra le donne (ancora una volta – ahimè – le statistiche dimostrano che così non è, le donne escono dagli studi molto più preparate degli uomini, ma vogliamo essere generosi nel nostro ragionamento!), abbiamo una popolazione (figura A nel disegno) dalla quale possiamo estrarre a caso due individui di sesso diverso.

Questa coppia casuale può presentare:
• L’uomo più competente della donna (B1)
• La donna più competente dell’uomo (B2)
• Uomo e donna ugualmente competenti (B3)

Come vediamo dal disegno, un processo di selezione senza bias (frecce verdi) porterebbe a una equa selezione della popolazione, mentre se introduciamo una preferenza per gli individui maschi a prescindere dal grado di competenza (frecce rosse) lo scenario più probabile vede nella popolazione rimanente una maggiore competenza per le donne (figura C2), ovvero il famoso “oro rosa” da cui le aziende più sane possono attingere!

Dicendo “aziende più sane” intendo ovviamente le aziende che, essendo consapevoli dei bias che possono indirizzare le proprie scelte non sulle soluzioni migliori, pongono in essere tutta una serie di accorgimenti per evitare di caderne vittime.

Per contro però, le aziende “non sane” difficilmente sono consapevoli di non esserlo (del resto, è proprio lì il loro problema!) e anzi quando vengono messe di fronte all’evidenza utilizzano proprio la scusa della “competenza” per giustificarsi. Di casi simili ne vediamo in continuazione, basti pensare a quanti candidati sindaci donne erano presenti nell’ultima tornata elettorale per i principali comuni, oppure a quante donne sono presenti tra i direttori di giornali oppure nella classifica Forbes dei top manager. O ancora, volendo fare un esempio più “pop”, a come la trasmissione televisiva X-Factor abbia deciso in quest’ultima
edizione di eliminare le categorie basate sui generi binari solo per trovarsi con 23 uomini su 25 partecipanti.

In tutti questi casi la risposta che spesso si sente dare è che non sono scelti “in quanto uomini ma in quanto più competenti” il che, su numeri sufficientemente grandi, è statisticamente impossibile a meno che non si ritenga che ancora nel 2021 la maggioranza delle persone competenti sia – non si sa per quale motivo – uomini.

Ecco, questo numero di Reputation Review vuole essere una riflessione su quali possano essere le conseguenze per le aziende del continuare a compiere scelte basate su bias cognitivi e pregiudizi. Il mio parere? Non saranno positive.

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Reputation Review #26

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