Mestieri Digitali

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Come nasce l’idea del Distretto Digitale Italiano?

Appartengo anagraficamente alla generazione pre-digital e ho abbracciato la rivoluzione digitale. Ciò mi ha reso quasi un bridge fra due culture, permettendomi di notare come il mondo della rappresentanza avesse perso l’appuntamento con le partite IVA delle professioni digitali. Indagando tra le esigenze e le aspirazioni di queste professionalità, ho osservato gli attriti e gli scontri con tutte quelle strutture burocratiche che, loro malgrado, fanno parte della complessità di una società.

Tali bisogni e il DNA stesso di questi nuovi mestieri mi hanno ricordato la condizione degli imprenditori negli anni ’70, quando la necessità di fare rete diede vita ai distretti industriali. L’analogia mi è piaciuta e ho fissato il mio pensiero in un assioma: “sono Artigiani digitali e devono creare un distretto digitale”.

Come si è passati dal pensiero alla nascita del DDI?

Era il 2013, e iniziai a raccontare in vari incontri questa mia visione degli artigiani digitali. Poi, insieme a un gruppo di giovani geek, abbiamo viaggiato fra Università, Associazioni, Sindacati, uffici, industrie, incontrando fabbri, falegnami, artisti. Proprio negli artigiani loro si sono riconosciuti di più, condividendo la stessa capacità di partire dall’idea per arrivare a un prodotto finito utile agli altri. Insieme abbiamo scritto il Manifesto e progettato un luogo digitale dove vivere e condividere, dove raccontarsi e mettersi a disposizione delle organizzazioni e delle imprese.

Quali professionalità hanno gli iscritti al DDI?

Finora ne abbiamo censite 75, ma parliamo di figure in continuo sviluppo perché le nuove tecnologie reinventano ogni giorno professioni e paradigmi.

Facci degli esempi…

Primo cambiamento epocale: dopo migliaia di anni non sono più gli anziani a insegnare ai giovani ma sono i giovani a formare gli anziani. Non solo. L’uomo ha sempre espresso bisogni a cui la tecnologia ha dato risposta. Oggi è la tecnologia a creare bisogni e strumenti, mentre l’uomo immagina applicazioni che diventano nuovi mestieri.

Pensi che il ricorso forzoso al digitale imposto dalla pandemia cambierà il nostro modo di vivere e lavorare anche post emergenza?

Certo che sì, e bisognerà capire cosa cambierà di più. Il mondo del business e quello delle istituzioni stanno scoprendo cose che “voi umani non potreste immaginarvi”.

Con quali conseguenze?

Il PIL diventerà un tampone inefficace per stabilire se la società sta bene o no. Il valore delle aziende dovrà essere calcolato in modo diverso. Il sistema dei trasporti andrà ripensato in chiave di logistica delle merci e del tempo libero. La formazione professionale cambierà radicalmente. Intrattenimento, cultura, tutto sarà fruito in modalità integrate, analogiche e digitali.

Veniamo al nostro mondo, Valter, alla Reputazione.

È un valore per i digitali? Assolutamente sì, è il valore. Il prodotto dei mestieri digitali è tecno-creativo, va paragonato a un’opera dell’immaginario. Vale quello che il mercato decreta che vale. E la Reputazione oggi è diventata tutto questo. È un insieme di cose che c’erano e tante altre che si generano nella rete e dalla rete.

Quindi ritieni che la tecnologia avrà un ruolo determinante nella gestione della reputation?

Bravi, determinante è la parola giusta. Non cambieranno gli archetipi del processo, ovvero monitoraggio, gestione, contrasto, valorizzazione, ma i modi, gli strumenti, gli attori, i tempi in cui la Reputazione verrà gestita. A determinare questo proprio la tecnologia, analogamente a quanto avvenne quando il proliferare delle testate rese indispensabile la nascita delle rassegne stampa. Resta poi la strategia, che sarà gestita da professionalità diverse, ibride, da professionisti che abiteranno nel Distretto Digitale Italiano!

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