Occorre una banca per il Sud

Luigi Iosa

Quindici anni fa, nel 2005, da avvocato penalista ho assunto la difesa, per l’applicazione di interessi usurari, di un giovane imprenditore contro la Banca amministrata dal più noto banchiere italiano dell’epoca, Gianpiero Fiorani. È così che ha avuto inizio la mia attività di cassazionista a tutela dei consumatori bancari, sfociata poi nella nomina a responsabile dell’area penale della SOS Utenti, l’associazione che si occupa quotidianamente della salvaguardia di quei consumatori.

La mia passione per il sistema bancario viene però da lontano, da un ricordo di liceale e da un libro settecentesco conservato nell’antica biblioteca della mia famiglia. Sulla copertina di pergamena si legge “Nec prece nec pretio”, cioè “né preghiera, né sconto”. Un libro sui prestiti bancari, dunque, la cui presenza nella biblioteca Iosa non deve sorprendere. La mia famiglia ha svolto quell’attività dal 1713 al 1821 nella borbonica Provincia di Capitanata e dei prestiti dei miei avi si sono avvalsi potenti dell’epoca, persone comuni e cittadini demanisti di Campobasso come registrato in tanti atti notarili conservati negli Archivi di Stato della Capitanata e del Molise. Quell’impronta familiare è rimasta dentro di me, forse anche perché sono parente – i nostri trisavoli erano fratelli e le nostre trisavole erano sorelle – di Donato Menichella, Governatore della Banca d’Italia dal 1948 al 1960, tra i protagonisti della ricostruzione italiana nel secondo dopoguerra. C’è insomma più di un motivo se ho una passione per la storia degli Istituti Bancari nel Mezzogiorno. E ora, da qualche mese, il Governo ha gettato le basi per la grande Banca del Sud, mettendo sul tavolo i primi 900 milioni di euro per il rilancio.

Tutto è iniziato con la fallenda Banca Popolare di Bari, che non rispettava i requisiti patrimoniali minimi, e con il Decreto, approvato a Dicembre 2019 in CdM, che ha ipotizzato un salvataggio in tandem tra il sistema bancario, attraverso il Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi (FITD), e lo Stato, che ha previsto un potenziamento delle capacità patrimoniali e finanziarie della Banca del Mezzogiorno – Mediocredito Centrale (MCC), interamente controllata da Invitalia. Manca ancora un passaggio, però.

Bisognerebbe affittare il ramo di azienda della BPB alle Banche territoriali del Sud più virtuose nella gestione e amministrazione sul territorio, come Banca Popolare delle Province Molisane, Banca Popolare del Lazio e altre. I crediti deteriorati della BPB, invece, andrebbero ceduti secondo un sistema innovativo diverso da quello tradizionale. Andrebbe poi notevolmente aumentata per legge la garanzia bancaria offerta da Mediocredito Centrale per le PMI, quello che di fatto è accaduto con l’emergenza Covid-19. Ci vuole cioè un’aggregazione funzionale tra le migliori Banche di territorio del Centro-Sud Italia e il MCC, che integri capitale pubblico-privato e lasci intatta la governance territoriale della singola Banca. Diversamente, la Banca del Mezzogiorno, come sola Banca pubblica di investimento, non sarà utile agli imprenditori e alle famiglie meridionali, perché sarà caratterizzata dalla “dannosa distanza” tra la clientela e la Banca.

Fare banca al Sud è difficilissimo e richiede un modello di “Banca sartoriale”, in grado di dialogare con le persone e non con i numeri. Se durante la crisi causata dalla pandemia avessimo già avuto questo tipo di Banca del Sud con capitale misto pubblico-privato, i nostri imprenditori avrebbero ricevuto il prestito garantito dallo Stato in tempi più rapidi.

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