Massimo Iosa Ghini • Ripensare luoghi con un archistar

Massimo Iosa Ghini photo by Mattia Aquila (2)

Massimo Iosa Ghini è tra le firme più prestigiose dell’architettura e del design italiani. Lo abbiamo sentito per comprendere meglio il ruolo della sua arte nella ripartenza del Paese.

Quale storia di crescita e quale filosofia ci sono dietro il successo di Massimo Iosa Ghini?

Ho sempre pensato al progetto come un’opportunità per esprimere sé stessi e la propria visione, che deve collimare con quelli che, nella nostra lettura, sono i bisogni della gente. Non si tratta di asservimento ai gusti dei più. La progettazione deve avere una guida tecnologica, fatta di saperi, sia tecnici che sociali, e partire dalla convinzione che siamo noi, con lo studio, l’approfondimento e la determinazione, che possiamo dare risposte ai problemi delle persone. Lavorando con Sottsass e gruppo Memphis negli anni ‘80, ho imparato a progettare in completa autonomia, a fondare le mie scelte su competenza, qualità e gusto estetico, ma anche a provocare per spingere le soluzioni fuori dall’ovvio. Il mio percorso nell’avanguardia italiana mi ha dato l’abilità di pensare un po’ come un medico, che lavora in maniera assidua nell’interesse del paziente, senza che qualcuno sia lì a dettargli la ricetta. Credo che assiduità e volontà di non perdere alcuna occasione di approfondimento siano le principali caratteristiche di quello che è, se vogliamo chiamarlo
così, il mio successo.

In che misura e in quali modalità architettura e design contribuiranno alla ripartenza del Paese?

Del virus rimarrà l’idea di un possibile ritorno e questo influenzerà le progettazioni per anni. Una malattia che circola nelle nostre città fa subito pensare agli spazi aperti e, per questo, si è parlato di borghi, di luoghi agricoli, dell’extraurbano, evocando la Broadacre City di F. L. Wright. La città manterrà il suo ruolo, ma
dovremo fare tanto per riformularla, immaginando nuovi tessuti urbani. Dovremo pensare a un’urbanistica macro cellulare che preveda l’unione di tante cellule costituenti l’organismo civico e, al tempo stesso, indipendenti l’una dalla altra. Quartieri a dimensione più umana, con piste ciclabili, che possano essere vissuti appieno senza necessariamente muoversi su lunghe distanze. Quartieri rarefatti fisicamente e più uniti virtualmente. Mezzi di trasporto a impatto 0, abitazioni più ampie e rivolte all’esterno, e soluzioni di tipo impiantistico per scongiurare dispersioni energetiche, mantenendo però l’arieggiamento naturale. Trovare queste soluzioni è compito dell’architettura. Dovranno essere ridisegnati completamente anche gli spazi di lavoro che, con l’imporsi dello smart working, diverranno luoghi di socializzazione in cui fare il punto, più che luoghi di operatività quotidiana. Spazi ancora più puliti ed essenziali prenderanno il posto di luoghi iper-decorativi e vincerà la qualità che non sarà più un lusso ma una necessità. Credo che è e sarà importantissimo progettare l’integrazione con gli elementi naturali. Le piante, i terreni, l’orografia e tutti gli elementi del paesaggio sono da legare a
una componente artificiale sempre più tecnologizzata, qualcosa a cui sto già lavorando per alcune zone rurali nel Sud Italia.

Ci vuole parlare di più di questo e altri suoi progetti in particolare?

Al Sud sto appunto sviluppando un meta progetto di design paesaggistico, in una zona lacustre, nella quale abbiamo immaginato dei percorsi ciclistici e definito diversi punti di osservazione paesistica da realizzarsi con l’utilizzo della quercia dei crinali dei Monti Dauni. Ci sono poi i Branded Apartments a Bologna, la mia città, dove, col mio studio, abbiamo ripensato 35 unità abitative in un edificio rinascimentale dove si unisce la storia e la tradizione della città al taglio tecnologico e moderno di tutti gli appartamenti. Sono particolarmente felice di questo progetto perché ha messo insieme i miei due saperi di architetto e designer e perché il poterli arredare mi ha dato la possibilità di inserire pezzi straordinari di Sottsass, Castiglione, Magistretti, Mollino, Saarinen, e di tanti altri Maestri che fanno parte della mia storia di designer e collezionista. Inoltre, in queste settimane, con un team interdisciplinare di professionisti abbiamo pensato di creare una maschera di protezione dal virus che copra interamente il volto, ma che, essendo trasparente, favorisca allo stesso tempo la socialità tra le persone, dando voce al labiale, alla mimica del viso e favorendo la riconoscibilità di chi la indossa.

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