Tinny Andreatta • Raccontare le donne attraverso Netflix

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Il suo nome è Eleonora, ma tutti la chiamano Tinny (un omaggio dei suoi al grande poeta indiano Rabindranath Tagore), ed è una delle donne ai vertici di Netflix, il colosso mondiale dell’intrattenimento in streaming. Dal luglio 2020 ricopre il ruolo di vicepresidente delle serie originali italiane, traguardo a cui è arrivata dopo una lunga carriera in Rai, culminat nella nomina a direttrice di Rai Fiction.

Lei è un’esperta di narrazione televisiva. Come è cambiata la figura della donna nello storytelling negli ultimi 20 anni?

Fino ad almeno 15 anni fa lo storytelling italiano proponeva le donne soltanto come “spalla”, vale a dire come compagne, mogli o madri degli assoluti protagonisti maschili. Oggi cerchiamo di dare legittimazione e centralità al protagonismo femminile. Personalmente avevo sempre desiderato dare voce alle donne raccontandole fuori da certi stereotipi, e a Netflix possiamo finalmente azzardare e spaziare, declinando il ritratto al femminile in molteplici sfaccettature, anche disfunzionali, oppure dark. Insomma, raccontando le donne italiane così come sono veramente, con tutte le loro fragilità, le loro mancanze, le loro scorrettezze. E tutto ciò potendo utilizzare la voce dei migliori autori e registi. In più vogliamo anche e soprattutto dare espressione alla sfera del “desiderio” al femminile, che seppur legittimo, è ancora considerato indicibile nella nostra cultura che è rimasta tanto legata – nonostante tutto – al modello patriarcale. Portare questo lavoro nei 190 Paesi in cui Netflix è presente, è la nostra grande sfida.

Oggi che le tematiche dell’empowerment femminile sono all’ordine del giorno, in che modo il network lavora alla realizzazione di produzioni italiane?

Diciamo che attualmente non si tratta più – o soltanto – di raccontare donne che si scontrano con il potere del maschile. La forza della femminilità va oltre, ed ha un potenziale di cambiamento che riguarda tutti. Per esempio, ora stiamo lavorando alla serie Briganti, scritta dal collettivo Grams e prodotta da Fabula Pictures, una storia che racconta il banditismo post-risorgimentale da un punto di vista femminile che lo ricontestualizza e lo mette in una nuova luce. E poi alla trasposizione seriale de La vita bugiarda degli adulti, il romanzo di Elena Ferrante. Una produzione Fandango diretta da Edoardo De Angelis con Valeria Golino nei panni della zia Vittoria, in cui abbiamo investito su una protagonista adolescente che vive su di sé e nella sua tormentata e incerta sessualità le contraddizioni di tutta una società. Con lo stesso spirito abbiamo puntato sulla storia di Lidia Poët, la prima donna che riuscì ad entrare nell’Ordine degli Avvocati nell’Italia appena unificata, e che poi ne venne espulsa perché la parola avvocato è maschile e non contempla una donna in questo ruolo. La protagonista è Matilda De Angelis, la regia di Matteo Rovere e Letizia Lamartire con la produzione di Groenlandia. E stiamo anche lavorando alle tematiche legate alle narrative antieroiche, per esempio con l’ambigua avvocatessa protagonista di Nemesis, un nuovo thriller psicologico scritto da Stefano Sardo, Ludovica Rampoldi e Alessandro Fabbri, e prodotto da Indigo Film. Sulle antieroine al femminile, in Italia non è stato fatto quasi nulla.

E dunque quali personaggi femminili secondo lei, in questo momento sono i più rappresentativi del network?

Sono piuttosto fiduciosa che quei personaggi italiani che ho appena elencato potranno diventare rappresentativi per il pubblico di Netflix. Allo stesso tempo, queste donne si inseriscono nell’alveo di una impostazione editoriale aperta fin dall’inizio alla molteplicità complessa del femminile. Penso per esempio a donne raccontate in contesti per loro inediti come il mondo carcerario tutto al femminile di Orange is the New Black. O ad alcuni esempi di una femminilità orgogliosa
che, senza nascondere le sue debolezze, ha il coraggio di affrontare e vincere sfide affascinanti. Penso in questo senso a Elizabeth Harmon ne La regina degli scacchi o a Esther Shapiro che in Unorthodox attraversa un difficile percorso di liberazione che travalica l’ambito individuale e riguarda una più ampia visione dei rapporti e l’essenza stessa della libertà. E ci tengo a sottolineare che questa attenzione non è circoscritta alle donne, ma si lega al generale rispetto che Netflix dimostra verso tutte le differenze, e a un sistema di valori che nega ogni forma di esclusione culturale, razziale, di orientamento sessuale o di status sociale.

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