Regaliamo il piccolo chimico alle bambine

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Per Oliva Masini, direttore di Previndai, il gender gap si combatte a partire dalla famiglia. Italia indietro sulle opportunità di carriera ma si può intervenire per accelerare verso la parità di genere, puntando anche su un nuovo welfare

A marzo scorso, il World Economic Forum ha pubblicato un ponderoso report sul Gender Gap a livello globale. Come nazione, non ne usciamo bene: siamo al 63esimo posto su 156 Paesi analizzati, dietro tanti Paesi ritenuti nell’immaginario collettivo arretrati rispetto al nostro.
Interessante è poi lo spaccato per settori: a livello globale e in Italia, le differenze di genere non sono molto forti nel contesto educativo e in quello della salute, mentre diventano importanti in ambito economico e deprimenti in quello politico. La presenza di figure femminili diminuisce poi man mano che ci si avvicina a posizioni di vertice: Italia e Olanda, per esempio, hanno solo il 27% di presenza femminile nei livelli apicali e manageriali.
Nella mia realtà professionale, a contatto con il mondo della dirigenza industriale, quel 27% è ben lontano dall’essere raggiunto. Nel settore, le donne sono più presenti nella fascia tra i 36 e i 45 anni, con il 20%, mentre questa percentuale scende all’aumentare dell’età, sino al 10% intorno ai 60 anni. La buona notizia è quindi che il numero delle dirigenti sta aumentando progressivamente, ma c’è tanto da fare.

Gli ambiti sui quali ritengo si debba lavorare sono famiglia, educazione e mondo del lavoro. È la famiglia il luogo delle prime disparità, ogni volta che l’esempio genitoriale indirizza verso differenze: chi si alza a sparecchiare, chi guida la macchina? Come genitori, dobbiamo consentire ai nostri figli di capire che i ruoli sono interscambiabili e che le opportunità non hanno genere.

Regaliamo il microscopio e il piccolo chimico anche alle bambine. Il gioco e l’educazione non devono avere genere: basti vedere come si distribuiscono le presenze femminili in certi corsi medi superiori o universitari per capire come ancora, nella realtà, si ritengano certi studi e certe opportunità professionali più adatti a un genere rispetto all’altro.

Infine, il mondo del lavoro è quello in cui abbiamo più tempo per annullare le differenze di genere, perché ci coinvolge per circa 40 anni nella vita. È il contesto nel quale consentire alle persone di mettere a frutto le proprie competenze: sono sicura le donne in questo abbiano molto da dire e da offrire.
Finché però, tra due candidati ugualmente adatti, si preferirà un uomo solo perché non si assenterà per maternità, il mondo del lavoro rinuncerà al contributo del genere femminile, alla sensibilità, umanità, capacità organizzativa che lo contraddistingue.

Dunque lavorare in direzione dell’appianamento del gender gap, senza però appiattire le differenze, perché non è proprio vero che le donne sono uguali agli uomini: sono delle privilegiate. Hanno la possibilità di mettere al mondo dei figli e questa è un’esperienza impareggiabile. Quella che è vista come una limitazione deve convertirsi in opportunità. Oltre l’elasticità negli orari, trovare forme per non allontanare le lavoratrici completamente dal lavoro durante la maternità può aiutarle a non vedersi emarginate per questo.

Non dimentichiamo inoltre che, in una realtà sociale come quella italiana, in cui l’età media tende a crescere, un altro tema è quello dell’assistenza agli anziani. È un aspetto poco visibile nel quale la presenza femminile supporta in modo fondamentale la struttura sociale del Paese e limita sensibilmente la loro disponibilità al lavoro. Tendere alla parità di genere vuol dire allora anche rafforzare il sistema di welfare del nostro Paese, affiancando alla previdenza e all’assistenza sanitaria anche un reale supporto alla maternità e alla non autosufficienza.

Il report del WEF non riempie di ottimismo. Stima in oltre 130 anni il tempo necessario per il raggiungimento della parità di genere in termini globali e in oltre 250 in campo economico. Tempi infiniti, sembrerebbe. Ma sono un’inguaribile ottimista: ho avuto la fortuna o l’abilità di lavorare con persone che hanno fatto emergere le mie competenze senza badare al mio genere e di vivere in un ambiente familiare dove ho potuto contare di pieno supporto e condivisione. Le prospettive, per i miei due figli ormai adulti, un maschio e una femmina, non possono che essere migliori.

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