Arnaldo Ferrari Nasi • Investite nelle persone e non ve ne pentirete

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Arnaldo Ferrari Nasi è molte cose. Di Sestri Levante, milanese d’adozione; sociologo specializzato nel settore dell’opinione pubblica; membro della Società Italiana di Scienza Politica e della Società Italiana di Sociologia. Ha insegnato per quindici anni presso il Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università di Genova. Consulente per numerose istituzioni ed enti dello Stato, fra cui l’Esercito Italiano, per il quale è Maggiore della Riserva Selezionata. Tra sociologia e statistica: vediamo dove si colloca il capitale umano.

Arnaldo, la tua è una storia che parte proprio dal capitale umano. In che senso?


Scelta e valorizzazione del capitale umano sono da sempre la mia priorità e tutt’ora sono alla base del successo della mia azienda, Remtene, e devo tutto alla mia storia. Dopo il servizio di leva in Marina, come radiotelegrafista di bordo, mi trasferii a Milano e mi iscrissi, da studente-lavoratore, a Scienze Politiche, ai tempi non esisteva la Facoltà di Sociologia, mia grande passione. Sorpresa! Una grossa fetta dell’offerta formativa era occupata dalla statistica, che approcciai fin da subito con ottimi risultati. I numeri mi affascinano da sempre, da buon ligure, ho fatto il Nautico e lì ti stroncano di trigonometria sferica. Ma come i numeri, mi sono sempre piaciute le persone, o meglio, le dinamiche delle aggregazioni di persone: in breve, la Sociologia Quantitativa. Come lavoro, in quel periodo, variavo: facevo il musicista, il cuoco, l’intervistatore telefonico; ho fatto anche quello che metteva i volantini nelle cassette della posta. Comunque, con i primi soldi in più, investii in un Personal Computer, niente affatto scontato nel 1991, e siccome molti dei miei professori all’università erano consulenti di Istituti di ricerca statistica, che erano quasi tutti a Milano, iniziai ad essere chiamato come elaboratore dati. Ho quindi iniziato dalla gavetta; poi, il capitale umano e la forza delle relazioni, mi fecero fare il passo. Con queste iniziali esperienze, il mio CV finì in uno dei più importanti studi italiano di sondaggi, quello di Renato Mannheimer, già mio professore a Scienze Politiche, e che di certo non ha bisogno di presentazioni. Da lì, si può dire, che iniziò la mia carriera fu definita. Dopo qualche anno, ho cercato ed intravisto una nuova opportunità.

Di quale opportunità si tratta? È da qui che parte la tua attività “in proprio”?

Esattamente. Una molto specializzata agenzia di comunicazione italiana, con sedi anche oltreoceano, utilizzava la scuola quale media per veicolare messaggi di brand. Ad esempio, Fiat forniva gratuitamente alle scuole una sorta di “gioco dell’oca” sull’educazione stradale: uno strumento didattico importante, di cui la scuola mancava. Diversificato per i vari cicli di istruzione e molto apprezzato dagli insegnanti che, chiaramente, dava al nome Fiat un valore del tutto positivo. Per progettare queste serie iniziative di comunicazione, serviva il capitale umano di professionisti e consulenti. in vari ambiti; non solo i “classici” creativi, ma anche psicologi, pedagoghi e sociologi come me. Una peculiarità totalmente italiana; quando raccontai questa realtà ad un congresso, ad un professore della Sorbona strabuzzando gli occhi, proferì la classica: “ah… les italien”.

Insomma, alla fine è l’interpretazione e la visione umana a fare la differenza.

Sì, ed è ancor più vero se si guarda ai grandi colossi, ai quali ho fatto consulenza metodologico-statistica per tanti anni. Gran parte delle multinazionali di ricerca, applicano in tutto il mondo delle tecniche di ricerca blindate decise nell’HQ, con quasi nulle declinazioni territoriali. Il mio compito era proprio quello di colorare queste ricerche con una visione diversa, fuori dall’ordinario, e ancora una volta ho investito nel capitale umano.

Mi sembra chiara la tua predilezione per le piccole-medie realtà, rispetto alle grandi multinazionali. Dove pensi che il capitale umano venga maggiormente valorizzato?

Pur non avendo mai vissuto in prima persona la realtà di una multinazionale, penso che gli istituti più piccoli siano come delle botteghe artigianali: meno quantità, più qualità e, spesso, più esperienza umana, con approcci fuori dagli standard. Giorno dopo giorno cerco di dare questa forma a Remtene. Le grandi aziende hanno un nome da spendere, pertanto spesso cercano tanti Junior per fare molte piccole operazioni. Il nostro approccio è più aperto, perché siamo semplicemente alla ricerca del miglior capitale umano che c’è. Le parole d’ordine sono esperienza e visione, non importa l’età sul CV. Per un giovane, crescere in una piccola-media realtà dà la possibilità di mettere le mani su ogni parte dei processi, accumulando sul serio competenze in ambiti diversi.


Facciamo un piccolo passaggio, dunque, su Remtene. Di cosa si occupa principalmente?

Il nome Remtene nasce dalla contrazione della locuzione latina: “Rem tene, verba sequentur”, traducibile in: «possiedi l’argomento e le parole seguiranno [da sé]». Un mantra, diventato per noi un mindset: focalizzarci sull’approfondimento dei contenuti. Remtene è oggi una realtà di ricerche statistiche e posizionamento di aziende e politici, con un forte legame con monitoraggio, analisi e crescita della loro reputazione. Siamo stati tra i primi a portare la pratica del mistery shopping nel mercato dell’energia, dove nessuno arrivava: trovare un’azienda e convincerla a raccogliere preventivi con lo scopo di raccogliere informazioni approfondite, non è un lavoro da poco.


Cosa vuol dire, dunque, valorizzazione del capitale umano per te?

Ti rispondo con un aneddoto recente. Già prima della pandemia investivo nella sfera formativa e personale dei miei dipendenti e collaboratori, all’insegna della massima flessibilità per offrire un work-life balance che prediligesse la produttività, ad esempio, l’orario di ufficio, sul contratto, lo sceglieva il dipendente. E mi piace pensare che siamo riusciti a sopravvivere all’onda anomala del Covid-19, soprattutto grazie al capitale umano. Con l’ufficio commerciale ovviamente fermo, assorbire il colpo non è stato facile. Allora ho dovuto individuare voci di costo da tagliare. Ed è qui che ho deciso di ripartire dalle persone. Ho disdetto l’ufficio e ho dato un aumento a tutti i miei dipendenti e collaboratori, parlandone con loro, per supportarli e motivarli in quel momento di difficoltà. Ho investito tutto sulle
persone e, ancora una volta, non me ne sono pentito. Oggi abbiamo aumentato i clienti di almeno il 50% rispetto al dicembre 2019.

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