Fare impresa nel mondo della cultura. È il mestiere di Alessandro Nicosia, che da quasi quarant’anni si occupa di organizzare mostre evento internazionali, spesso capitalizzando le grandi personalità italiane. Come Alberto Sordi, protagonista della splendida Alberto Sordi 1920-2020, allestita nel centenario dalla nascita dell’attore nella sua stessa casa romana, o l’indimenticabile Totò, celebrato a Napoli con Totò genio in occasione del cinquantenario dalla scomparsa nel 2017. L’ultima impresa di Nicosia, dopo il debutto a Bologna, è appena stata inaugurata all’Ara Pacis di Roma, dove si fermerà fino al 6 gennaio 2023 per poi per spostarsi a Napoli, Pesaro, Milano e a seguire anche all’estero. È dedicata al genio musicale di Lucio Dalla, nel decennale dalla sua scomparsa, e si intitola Lucio Dalla – Anche se il tempo passa. Una raccolta, divisa in dieci sezioni, di oggetti, documenti, fotografie, abiti di scena, copertine di dischi,
filmati di repertorio e spezzoni dei film a cui aveva partecipato, che raccontano l’artista bolognese dall’infanzia ai grandi successi musicali, alle sue apparizioni al cinema e in tv.
Nicosia, per iniziare ci racconti qualcosa di questa mostra: quali sono i pezzi più interessanti che ha raccolto?
Ce ne sono moltissimi. La collezione di cappelli di Lucio, per esempio, con i famosi baschi, i colbacchi, i borsalino, il berretto da marinaio. Il suo clarinetto, il trenino giocattolo che a casa sua viaggiava tra i piedi degli amici e l’insegna della galleria d’arte che aveva aperto a Bologna, la Nocod. Una pagella scolastica dalla quale si evince che la matematica non era la sua materia (aveva preso “1”), alcune prime stesure dei testi delle canzoni appuntate a mano.
Che cosa significa oggi fare business con un elemento così “intangibile” come la cultura?
Il business è sempre business, perché anche in questo settore un imprenditore privato rischia il proprio denaro, e le difficoltà di mercato rispetto a qualche anno fa sono aumentate. Gli sponsor per la cultura sono di meno, le istituzioni hanno risorse sempre più limitate e soprattutto i visitatori sono scesi in termini numerici rispetto a 10 o 15 anni fa. Oggi c’è un affollamento di offerta che disperde il pubblico, anche se purtroppo quasi mai questa offerta è di grande qualità. In questo senso io sto portando avanti una battaglia da parecchio tempo, soprattutto per quanto riguarda la mancanza di controllo delle istituzioni, che lasciano mano libera un po’ a chiunque. A Roma, per esempio giocano tante realtà: il Ministero, il Comune, la Regione, le Fondazioni, e io ho cercato più volte di istituire un tavolo di confronto, quanto meno per calendarizzare le attività e magari evitare che vengano inaugurate due mostre importanti nello stesso giorno. Ma ancora non ho ottenuto grandi risultati.
Quali sono gli attori principali nel conto economico di una impresa come l’organizzazione di una mostra, e quanto pesano?
Come ho già accennato, i più importanti sono certamente la biglietteria, gli sponsor e le istituzioni. Diciamo che più o meno la biglietteria vale il 50% e gli sponsor, soprattutto se sono commerciali, il 30. Le istituzioni in genere danno il patronage e quindi concorrono a costruire il prestigio dell’evento e la sua reputazione, in più a volte offrono un “obolo”, che però è quasi sempre residuale. Quando mettono a disposizione gratuitamente uno spazio pubblico, come per esempio nel caso dell’Ara Pacis per Lucio Dalla, ovviamente il loro peso aumenta.
A proposito di reputazione, qual è il suo significato per lei?
Avere una reputazione in questo settore significa aver costruito un percorso estremamente valido negli anni: io ho organizzato decine di grandissime mostre, ho una struttura che conta 20 dipendenti, diciamo che ormai la mia reputazione me la sono fatta. Certo, chi oggi decide di presentarsi sul mercato deve offrire un evento di altissima qualità, altrimenti alla seconda mostra non ci arriva. Il pubblico è diventato sempre più attento e preparato e se qualcosa non va, se ne accorge subito.
Ultima domanda: è vero, come ha sostenuto qualcuno, che “con la cultura non si mangia”?
È un’affermazione che non mi piace affatto, la trovo poco seria. E soprattutto, la contesto a 360 gradi.